L’analisi di bilancio per capire l’equilibrio aziendale – gli indici

Dando seguito al precedente articolo L’analisi del bilancio per capire l’equilibrio aziendale, ora puntiamo l’attenzione sull’analisi per indici, descrivendone alcuni tra i più utilizzati.

Gli indici vengono elaborati per verificare lo stato di salute aziendale ed in particolare:

-La redditività, ossia la capacità di produrre reddito e remunerare tutti i fattori produttivi;
-La solidità patrimoniale dell’azienda, intesa come capacità di perdurare negli anni;
-La liquidità, nel senso della capacità aziendale di far fronte ai propri impegni finanziari;
-Il rinnovamento, cioè la capacità dell’organizzazione di rinnovarsi e svilupparsi, grazie allo sviluppo, attraverso la gestione, di risorse da investire;
-L’efficienza, cioè la capacità di ottimizzare l’uso delle risorse a disposizione.

Obiettivo dell’azienda è quello di costruire un sistema di elaborazione degli indici che permetta di:
-Costruire un quadro generale di riferimento
-Elaborare i dati nel tempo, esaminando l’evoluzione dei valori, perché non è sufficiente fermarsi ad un solo esercizio.

Tutti gli indici che costituiscono il “quadro di controllo” sono ovviamente correlati fra loro e vanno visti anche in un’ottica globale.

Essi scaturiscono da rapporti o quozienti ritenuti utili a capire la dinamica di specifici aspetti gestionali.

Alcune precisazioni generali:
-I valori al numeratore e denominatore devono essere omogenei tra loro (esempio: se voglio misurare la rotazione del magazzino, è bene inserire al numeratore il costo del venduto e non le vendite, visto che al denominatore ho il valore delle rimanenze che sono valutate al costo).
-Quando si mettono a rapporto valori del Conto Economico (che “riepilogano” un anno di attività) con quelli dello Stato Patrimoniale (che “fotografano” un dato istante dell’anno, quello finale) è bene utilizzare i valori medi dell’anno delle voci dello Stato Patrimoniale.
-In alcuni casi esistono dei valori che possono essere presi come riferimento per fare dei paragoni, valutare la qualità dei valori che emergono. Però in molti casi occorre vedere settore per settore e azienda per azienda. In quest’ottica è opportuno conoscere i risultati del proprio settore di riferimento.

Di seguito, per ragioni di spazio, riportiamo solo alcuni indici, quelli più comuni.

Iniziamo con il descrivere gli indici di redditività.

Tra questi quelli di uso comune sono il ROI, il ROE, il ROS.

Il Roi (Return on Investment) è dato dal rapporto tra il reddito operativo ed il totale delle attività. Misura la resa di tutti i mezzi finanziari investiti nell’azienda e quindi è finalizzato ad accertare la convenienza dell’investimento.
Collegato al Roi abbiamo il Roe (Return on Equity), che si determina dal rapporto tra Utile netto e Capitale netto (in alcuni casi al numeratore si considera l’utile ante imposte. In questo caso si parla di Roe lordo). Il valore esprime il rendimento del capitale proprio investito in azienda e quindi andrebbe confrontato con investimenti alternativi. Deve essere almeno pari ad un investimento sicuro in titoli di stato maggiorato di un tasso di rischio legato al settore e al tipo di azienda.

Un terzo indice è il ROS (Return On Sale). Esso nasce dal rapporto tra Reddito Operativo e Totale Vendite ed esprime la redditività delle vendite. In alcuni casi si mette a confronto, invece, il MOL (Margine Operativo Lordo) con le vendite. Il Mol si determina con il Conto Economico a valore aggiunto (oppure togliendo al Reddito Operativo gli ammortamenti ed accantonamenti).

Accanto a questi importati indici di redditività si è soliti inserire nel quadro generale il ROD (Return On Debt).
Questo indice è dato dal rapporto tra oneri finanziari e tutte le passività di terzi (sia correnti che a lungo termine), sia onerose che non onerose. Indica il costo medio delle fonti di terzi.
Una variante (o completamento dell’analisi di questo aspetto) è il rapporto tra oneri finanziari e passività di terzi onerose. In questo secondo casi si determina il tasso di interesse medio.
Il Rod serve anche calcolare gli effetti della leva finanziaria.

Passiamo ora ad illustrare i principali indici di liquidità e solidità.

Prima però alcune considerazioni.

Al fine di avere una struttura in equilibrio, è importante che ci sia una coerenza tra gli impieghi e le fonti. Così, le attività fisse devono essere coperte da fonti durevoli (esempio non realizzo un investimento milionario con scoperti di conto corrente). Poi è importante anche sapere che se ho dei debiti a breve termine (che scadono entro l’anno), per una maggiore stabilità è bene che abbia, tra gli impieghi, delle attività facilmente trasformabili in liquidità per far fronte ai pagamenti. Se così non fosse, se la mia struttura è rigida, potrei avere delle difficoltà a trasformare le attività in liquidità e quindi a far fronte agli impegni finanziari.

Un altro aspetto da considerare è il grado di indipendenza da terzi, dato dal rapporto tra Capitale Proprio e Capitale di Terzi. Un rapporto pari a 0,5 denota ad esempio che si svolge l’attività utilizzando per 2/3 capitale altrui e 1/3 capitale proprio.

Le fondamentali, e forse banali, considerazioni appena illustrate introducono alcuni indici.

Iniziamo dall’analisi del rapporto tra le attività immobilizzate investite in azienda e le fonti durevoli (Grado di coperture delle immobilizzazioni).
Qui vengono elaborati i seguenti rapporti:
Capitale Netto/Attività Fisse. Esso indica quanto capitale immobilizzato è coperto con il capitale proprio. Secondo alcuni studi non deve scendere sotto allo 0,67.
(Capitale Netto + Passività a medio o lungo termine)/Attività fisse. Questo rapporto deve essere maggiore di 1. Vuol dire che per ogni euro “immobilizzato” ho più di un euro di copertura a lungo termine.
Sarebbe negativo un valore inferiore. Tanto negativo quanto più basso.

Proseguendo, è importante determinare l’indice di disponibilità, dato dal rapporto tra Attività Correnti e Passività Correnti. Esprime quanti euro ho a disposizione nel breve termine per ogni euro che dovrò pagare entro il breve termine. Naturalmente ci deve essere coerenza, e quindi il rapporto deve essere maggiore di 1, tendenzialmente anche 1,5-2.
Una versione più ristretta prende in considerazione le attività correnti depurate dalle rimanenze (quindi solo cassa, conti correnti attivi e crediti). Questo rapporto, se è inferiore a 1, non deve esserlo di molto, altrimenti la situazione non si configura positiva.

Per quanto riguarda gli indici di rotazione citiamo il Turnover di magazzino (costo del venduto/Rimanenze di magazzino-valori medi-), che indica quante volte gira il magazzino all’anno (più gira e più reddito si produce) ed il Turnover dei crediti (Vendite totali/Crediti commerciali-valori medi- al netto di iva perché le vendite lo sono), che indica quanto mediamente durano i crediti, ossia il tempo medio di pagamento da parte dei clienti. Con gli stessi criteri si possono calcolare il Turnover delle attività, dei debiti verso i fornitori e del Capitale Circolante Lordo.

Tra gli indici di rinnovamento ricordiamo il rapporto tra Nuove Immobilizzazioni e Totale Attività Fisse –valori medi-, che indica la velocità con cui si provvede al rinnovo delle immobilizzazioni, e il rapporto tra Autofinanziamento e Nuove Immobilizzazioni che misura il concorso dell’autofinanziamento ai nuovi investimenti.

Per concludere, gli indici di efficienza sono molto specifici per settore e per azienda. Qui possiamo ricordare il rapporto Vendite/Numero di dipendenti, Vendite/Costo del personale. Altri indici mettono a confronto il conseguito con lo standard.

Concludiamo riprendendo la considerazione del precedente articolo con cui si sottolineava l’importanza di avere dati di bilancio effettivamente rispondenti alla sottostante realtà aziendale. Facciamo un esempio.

Misuro l’indice di disponibilità mettendo in rapporto le attività correnti (Cassa, Conti correnti attivi, Crediti Commerciali e di varia natura, Rimanenze) con le passività correnti (debiti commerciali o di varia natura a breve termine, conti correnti passivi) ed ottengo un ottimo indice pari a 1,50. Però (per esagerare) se le rimanenze sono sopravvalutate e tra i crediti commerciali ve ne sono molti inesigibili, il valore ottenuto è falso, non corrisponde alla realtà e quindi l’analisi non solo non è veritiera ma porta a conclusioni e scelte aziendali opposte a quelle che dovrebbero essere.

Per questo motivo è importante verificare la bontà dei dati di bilancio prima di partire con un’analisi.

Sempre che ci sia l’effettiva volontà di produrre un quadro generale di riferimento vero, altrimenti….è un altro discorso.
Buon equilibrio!!

Roberto Malavolta
Laureato in Economia e Commercio, da sempre appassionato del mondo dell’impresa, è consulente aziendale e formatore nei processi di Marketing e Organizzazione dal 1992. Ha maturato una lunga esperienza collaborando con molte imprese di diverse dimensioni e appartenenti a vari settori di attività. Affianca gli imprenditori e i responsabili aziendali nell’affrontare i temi legati allo sviluppo sul mercato e all’orientamento al cliente, alla ottimizzazione organizzativa e al miglioramento della professionalità dei collaboratori.